Abbecedario ribelle per un’educazione emozionale: un anno di scuola come tutti la vorremmo, un’esperienza da replicare subito e dovunque

I ragazzi e le ragazze le vorremmo rispettose, indipendenti, capaci di esprimere le proprie idee senza seguire il branco passivamente, altruiste; li vorremmo capaci di gestire i problemi, di stare in gruppo ma anche da soli, capaci di chiedere aiuto, fiduciosi nei confronti degli altri; capaci di accettare il fallimento e di rialzarsi, di coltivare i rapporti sociali e affettivi senza annullarsi ma mantenendo la propria autonomia; li vorremmo consapevoli delle proprie risorse e dei propri limiti; capaci scegliere ciò che è meglio per sé, refrattari alla manipolazione; a proprio agio con se stessi; consapevoli di talenti e risorse, ambiziose al punto giusto. Li vorremmo adattabili, maturi, con saldi riferimenti etico-morali, né agenti né vittime di sopraffazione alcuna, protagonisti delle proprie scelte.

Come si raggiungono questi obiettivi nella scuola pubblica? Si possono raggiungere? La scuola può compensare le carenze della famiglia? Può contribuire a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”?. E’ possibile che ogni singola individualità abbia il suo spazio di protagonismo per rendere reale la personalizzazione dell’insegnamento, laddove si dice, giustamente secondo me, che ogni singolo o singola ha bisogni educativi speciali?

Secondo me Alessandra Sartorio è riuscita ad ottenere questo nell’esperienza documentata nel libro
Abbecedario ribelle per un’educazione emozionale, edito da Armando.

Il libro è il resoconto del primo anno della sua sperimentazione con una classe, portata fino in quinta , in cui il protagonismo della didattica è stato lasciato pienamente alle piccole studentesse e studenti. Il bambino, la bambina, il ragazzo, la ragazza al centro: non solo destinatari della lezione, dello sforzo dell’istituzione e dell’insegnante, ma decisori a pieno titolo di ogni momento e dettaglio della loro vita scolastica, senza nessun limite che quello del rispetto della normativa e dei diritti di ognuno. Libertà di ricorrere all’immaginazione, al gioco, alla tecnologia, agli esperti, a tutti gli strumenti per apprendere. Libertà di far entrare nella scuola la realtà locale e anche di uscire dalla scuola nel territorio offrendo il proprio contributo alla crescita della comunità intera. Un recupero a tutto tondo del senso e del posto della scuola, generatrice del rispetto di sé e impulso alla partecipazione pubblica.

Il cerchio è il momento più importante della giornata: si parla, si impara ad esprimersi correttamente per farsi capire, si ascolta, si impara ad ascoltare, dopo aver scoperto quanto sia difficile, si raccontano storie ed esperienze, si prendono decisioni su tutto: come disporre i banchi e lo spazio dell’aula, se utilizzare i voti, come graduarli, come assegnarli, come studiare, come gestire il peso dello zaino. L’insegnante lascia fluire il confronto solo indirizzandolo con domande opportune perché dalle idee nascano azioni pratiche in forma di un lavoro di ricerca e verifica. L’apprendimento dei contenuti e delle abilità avviene naturalmente, come necessario passaggio per realizzare il progetto. L’insegnante è la  facilitatrice, non l’esperta che sa già tutto quello che merita di essere conosciuto; lascia che emerga qualsiasi esigenza, nessuna ricevendo più o meno valore delle altre, ognuna degna di  essere soddisfatta, se scelta dalla classe come obiettivo di interesse di quel momento.

Il cerchio consente alle emozioni e all’empatia di circolare perché stimola la collaborazione, l’assunzione di responsabilità, valorizza le risorse e le differenze individuali, educa alle pari opportunità per ogni diversità. Ci si sente sicuri con gli altri, ci si rispecchia nella fragilità così come nella forza, ci si riconosce e ci si individua. Tutte le decisioni si prendono con il metodo consensuale, che più del metodo della maggioranza, è una pratica di pace in quanto non si forma una minoranza ma perché si individua, creativamente con il contributo di tutti, tutte, una scelta che va oltre e include ogni differenza.

Questa è educazione alla cittadinanza attiva, al confronto con gli altri, al rispetto. Nel cerchio si pensa, si riflette, si fa filosofia in senso proprio. Si pratica il metodo scientifico, con l’uso del procedimento per prove ed errori, con la valutazione del percorso e non del risultato. Si apprende non a dare le risposte giuste, ma a porre e porsi domande, a ricercare dati e verificarli, a confrontare, a confrontarsi, ad argomentare. Questa è educazione di contrasto alle fake news e alle manipolazioni.

Così si stimola la motivazione intrinseca (qui   un accenno a questo importante tema): ragazzo, la ragazza non apprende quello che servirà prima o poi, ma per una spinta che parte da sé, dal proprio interesse o piacere. Mi ha colpito l’esempio della scrittura: i bambini e le bambine si incuriosiscono quando vedono la maestra scrivere e scoprono che così ricorda tutto quello che ognuno di loro ha detto tempo prima. Non si deve scrivere, ma si vuole farlo, non si deve studiare, ma si sceglie di farlo: una scuola che finalmente non smonta le perfezione del meccanismo per apprendere che i bambini e le bambine possiedono naturalmente e che rimarrebbe in dotazione agli e alle adolescenti  in questo modo.

Avrei un’infinità di cose da scrivere su questo libro ma mi limito ad un ultimo punto. Ricordate forse che si è parlato di introdurre nella scuola l’educazione emozionale e adesso si parla di attività di prevenzione alla violenza di genere: si rimane sgomenti al pensiero di  “esperti” che intervengano a spot per fare qualche lezioncina calata dall’alto. La scuola dell’educazione emozionale e affettiva è quella di Alessandra Sartorio, dove niente è rifiutato, tutto è accolto, tutto trova ascolto, non necessariamente accettazione, ma tutto fluisce nel dialogo con gli altri, si confronta, si scontra, si tempera, si modula, trova il suo spazio. Questo forma persone rispettose di sé e degli altri, consapevoli dei propri diritti e dei propri limiti. E tutto questo avviene con naturalezza nel corso del lavoro quotidiano.

Da un po’ si parla di introdurre la filosofia anche negli istituti tecnici o la falegnameria nei licei. Non è che io le ritenga brutte idee, ma non si può pensare trattare la scuola come una luogo di accumulo seriale e votarla a formare gratuitamente lavoratori al servizio delle aziende, che oggi richiedono laureati in filosofia, domani chissà. La scuola di Alessandra Sartorio è quella dove la falegnameria, la filosofia sono necessarie alla formazione di quel singolo, singola allieva in quel momento specifico. In un altro momento può essere la danza o la fisica quantistica. Niente viene aggiunto da fuori contesto. 

E’ una scuola dove non ci sono imposizioni, né autoinflitte, né assegnate agli studenti. E’ nella pratica della libertà che le persone diventano cittadine libere e sicure, in grado di scegliere e di non sottostare ai dettami dei social o alle dipendenze di vario tipo, capaci di difendere i propri diritti. Alessandra Sartorio esercita quella libertà didattica che la sua professione riconosce e, rispettando tutte le formalità necessarie, dimostra che ogni insegnante può sceglierla. Certo l’incognita di una sperimentazione ha un costo da non sottovalutare, ma ritrovare la gratificazione nel proprio lavoro sicuramente ripaga. Secondo me questo libro è una ventata di aria fresca che riattiva la parte creativa ed entusiasmante della nostra meravigliosa professione.

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