Daniela Lucangeli, il diritto all’errore e l’importanza della gioia

Daniela Lucangeli è una figura estremamente importante perché, da neuroscienziata, spiega come mai l’apprendimento non dipenda solo dalle risorse cognitive ma anche e soprattutto dalla condizione emotiva associata ad esso, dalla gioia, dice lei, che l’educatore può accendere tramite gli interruttori giusti. Inoltre, io apprezzo la chiarezza con cui definisce il “diritto all’errore” come l’antidoto all’ansia.

Qui sotto il collegamento alla conferenza TEDx con cui ha presentato il suo percorso e la sua missione e la trascrizione, per chi preferisce leggere.

Emotional short-circuits: the intelligence behind mistakes | Daniela Lucangeli | TEDxMilano – YouTube

Cortocircuiti emotivi: l’intelligenza dietro gli errori | Daniela Lucangeli | TEDxMilano

 Editor’s note: This talk was filmed and uploaded by the volunteers who organized this TEDx event; speakers and topics are selected independently of TED.

Mi ci vuole un respiro, per parlare di corto circuiti emozionali. Potrei chiedervi di venire qui e guardarvi, e il corto circuito partirebbe. Mi occupo di bimbi che non ce la fanno e di bimbi che fanno fatica a scuola, di bimbi che fanno fatica a crescere, di bimbi che non si sentono capiti, di bimbi che soffrono. E questo ha modificato la mia storia di scienziato. Quindi l’altro giorno ero in un polo apprendimento, che è dove aiuto questi bimbi, e in questo polo apprendimento una di queste bimbe mi guardava perché io ero preoccupata su come iniziare oggi a parlarvi in pochissimi minuti di cosa facciamo noi, e del perché sono qui. E l’ho guardata e le ho detto: “Sai, non so da dove cominciare”. Lei mi ha sorriso e mi ha detto: “Dall’inizio devi cominciare, si inizia sempre dall’inizio”. E quindi, ecco, lì vedete me che in qualche modo rappresenta il mio inizio, il mio inizio di scienziato e la mia partenza per andare a studiare, a capire – che cosa? Quello che da un certo punto di vista mi ha affascinato per tantissimo tempo, cioè il rapporto tra il cervello e la mente, tra il cervello e l’anima. Tra cosa sentiamo, e com’è possibile che sentiamo così. E quindi ho passato anni ed anni ad affascinarmi per questa struttura straordinaria: il cervello è una struttura straordinaria. In millesimi di secondo, in questo momento, voi avete milioni di miliardi di connessioni che mettono in moto tutta una trasformazione di ciò che siete stati e di ciò che sarete. E a modificare tutto questo sono le informazioni che stanno entrando e che, in qualche modo, seminano qualche cosa di nuovo che determina potatura in ciò che voi siete stati fino ad adesso e nuove gemmazioni. Questo miracolo che misura un meccanismo che si chiama “Zona di Sviluppo Prossimale” è uno dei processi più affascinanti della vita: è quello che rappresenta l’essere vivente che ciascuno di noi, momento dopo momento, sceglie di essere. Quindi, dopo avere studiato tanto tutti questi meccanismi, sono tornata in Italia. E che cosa mi è successo? Ho incontrato un bimbo, l’ho incontrato in un corridoio verde, di ospedale, le mura erano veramente terribili, davano l’idea di qualche cosa che non curava ma opprimeva. Questo bimbo aveva otto adulti insieme a lui, oltre i genitori, gli assistenti vari, i docenti vari, gli ospedalieri. E l’infermiera gli ha detto che lì comandavo io. Quello che io ho fatto è stato un gesto da lontano, in fondo al corridoio: cioè mi sono abbassata e gli ho sorriso. Questo gesto ha fatto sì che lui sia corso verso di me, mi abbia preso per il camice e mi abbia detto quella parola che leggete: “iutimi”. Ora, io di questo bimbo non so più niente, ma quello che so è che ha cambiato la traiettoria della mia storia da scienziato, perché ho pensato che se tutto quello che sapevamo non aiutava un bambino, e se una comunità intera che si muoveva al punto di dargli otto adulti, non lo stava aiutando, perché lui chiedeva aiuto a un estraneo in camice in un corridoio verde d’ospedale, qualcosa in tutto questo nostro sistema non aiutava. E quindi mi sono rimessa a studiare e mi sono rimessa a studiare quello che in termini, così, di scienze e di deep science, si chiama “neuroplasticità” e in termini educativi si chiama “Potenziamento della Zona di Sviluppo Possibile”. Cioè ho cominciato a studiare come si potessero esercitare i domini cerebrali nel determinare miglioramenti nel linguaggio, nella capacità di concentrazione, di memoria, di attenzione, di intelligenza numerica. Sono diventata brava. Brava al punto che i bimbi cambiavano, e dal punto di vista delle ricerche avevo grandissimo successo, perché a livello di ricerca sperimentale quello che ottenevamo era quello che si chiama proprio “Potenziale migliore della struttura neuropsicologica individuale”. Se posso darvi un esempio è: il cervello gemma, in millesimi di secondo, le memorie che noi imprimiamo attraverso le informazioni che riceviamo. Quindi, se vogliamo capire che cosa fa, per esempio, la vita a scuola in un bambino, basta che facciamo un calcolo, un calcolo che io diedi al Ministero tanti anni fa, e cioè: facciamo millesimi di secondo per centesimi di secondo per decimi di secondo per secondi, per minuti, per ore, per giorni, per mesi, per anni che un bimbo sta a scuola: ottenete un numero che tende all’infinito. Quel numero misura quello che ciascuno degli adulti che incontrerà determina nel suo connettoma: la trasformazione del suo sé. È un potere immenso. E quindi mio figlio, in un tema in seconda elementare, ha scritto che sua mamma, quando ha finito di imparare di fare lo scienziato, si è messa a fare la maestra delle maestre perché io ho cominciato a spiegare agli insegnanti che cosa si determinava  nella neuroplasticità e nel potenziale umano. Ed ero convinta di avercela fatta. Ma non è stata così. Perché? Perché qualche tempo dopo, e in questo ci avviciniamo all’oggi di cui vi voglio parlare, incontro un altro bimbo, un bimbo da cui avevamo ottenuto un cambiamento, in termini di profilo cognitivo, straordinario, perché aveva recuperato una deviazione standard e mezzo da quello che si chiama genericamente quoziente di intelligenza generale. E questo bimbo ad un certo punto mi dice: “Ma adesso che mi hai tolto gli errori, mi togli che mi fanno male?” E io non ero preparata a capire il rapporto tra l’errore della mente e il dolore nella mente. E soprattutto non avevo riflettuto su che cosa fosse il meccanismo del dolore. Ma se adesso io chiedessi a voi, mille persone adulte, di ricordarvi della vostra vita e dei vostri errori – e non intendo gli errori a scuola del leggere, scrivere e far di conto, ma gli errori della vita, e vi chiedessi se hanno una traccia più importante nella vostra storia gli errori che avete fatto o il dolore che vi ha provocato, e che cos’è che determina la reazione in voi, penso che la risposta sarebbe unanime: è il dolore che determina la risposta. Ma cosa fa il dolore? Per spiegarvelo in pochissimi minuti, altrimenti mi sgridano, vi chiedo dei gradi di libertà, cioè vi chiedo di fare quello che, in qualche modo, ci aiuta a capire subito. Datevi una pizzicata, ma forte, ma proprio una pizzicata. E vi chiedo: questo che cos’è, dolore o sofferenza? È dolore. Perché abbiamo milioni di alert che dalla struttura che noi andiamo a colpire ci mandano delle informazioni neuroelettriche. Perché dal cervello attraverso il sistema nervoso periferico questo ribollitore biochimico che produce energia manda informazioni e dice: “Alert! Ti duole”. Perché ci dice “ti duole”? Perché ci dobbiamo ricordare che non dobbiamo più ricorrere a quel determinato tipo di situazione, perché ci fa male. Quindi va a tracciare le memorie, perché dice: scappa da di là, che ti duole. Allora cosa sono queste emozioni straordinarie? Ecco voi potete leggere: sono processi incredibili a livello neurofunzionale. Ai miei studenti lo spiego questo ribollitore biochimico che produce energia perché noi dormiamo e produciamo tre Hertz, siamo svegli come in questo momento e ne produciamo nove. Ma basta un’emozione, una goccia qualunque di emozione come quella che adesso provo io e che fa sì che sebbene io spieghi queste cose a contesti molto più complessi io sia molto più emozionata adesso, perché ho uno scopo grande, quello di parlare con voi. E alla fine ve lo dirò. E questa emozione è talmente potente che sebbene il mio cervello sia molto addestrato, la mia voce la manifesta. E io non riesco a controllare la voce perché l’emozione è più potente del sistema cognitivo, è il grande decisore. Ed è un decisore intelligente che però ha solo due risposte, e la risposte sono: “mi duole” o “mi fa bene” “mi duole” o “mi fa bene”. Le emozioni nascono, nel nostro sistema evolutivo, per dirci: “scappa” se ci duole, “tieni e cerca” se ci fa bene. E come ce lo dice? Ce lo dice attraverso un meccanismo, straordinario, di tipo hertziale. Se noi abbiamo un momento di gioia, abbiamo un picco hertziale in cui l’onda che si manifesta è un’onda ad altissima intensità, ma breve breve breve. E perché un’onda ad altissima intensità è breve breve breve? Perché deve tracciarla, la memoria di gioia; ma siccome la gioia fa bene, come ogni meccanismo che fa bene il cervello lo deve cercare ancora E quindi c’è l’ha breve, il momento di gioia, perché così si innescherà il meccanismo della ricerca della gioia. Ma se invece della gioia noi proviamo angoscia, ansia, paura, allora l’onda è molto diversa. Perché è a bassa intensità, sta sotto soglia coscienza, non si fa vedere dalla mente, sta lì sotto. Perché deve dare un alert che dice: Ricorda, ricorda, ricorda, ricorda. Scappa da di qua, che ti duole. Scappa da di qua, che ti duole. Ed ecco che i nostri circuiti vengono percorsi da onde che dicono: scappa, perché ti duole. E l’energia che produciamo è un’energia che ci dice: “Scappa che c’è dolore”. Sembra che non ci sia via d’uscita. E invece c’è, eccome. Vi ho detto che non è la mente che controlla le emozioni. Questa è una grandissima illusione. Da scienziato cognitivo, ad un certo punto ho dovuto arrendermi. Provocatevi il conforto, per esempio, come emozione. Ci riuscite? Provocatevi l’intesa. Adesso ordinatevi di provare intesa l’uno verso l’altro. Non ci si riesce! Ma guardate che abbiamo degli interruttori, e questi interruttori sono catalizzatori. Non possiamo accendere la luce, qui dentro, con la forza del pensiero: dobbiamo andare all’interruttore giusto! E l’interruttore giusto per le emozioni lo dobbiamo capire qual è. Per esempio, se vi chiedo, per piacere, guardatevi negli occhi l’un l’altro con intesa, vai. Per piacere, abbracciatevi 30 secondi, dai, coraggio! Per piacere, fatevi una carezza, una carezza di conforto. Se adesso noi misurassimo il battito cardiaco, misurassimo la temperatura, guardassimo indicatori come il colore della pelle, e l’acidità del sudore che è stato emanato, noi avremo tutto un cambio di indici perché noi abbiamo attivato circuiti neuroelettrici potentissimi. Questi sono gli organizzatori, questi sono gli interruttori. Pensate che trenta secondi di abbraccio comandano all’amigdala di produrre l’ossitocina, l’ormone che determina, nel momento del parto, la possibilità di una donna di resistere al dolore! Trenta secondi di abbraccio. Quindi, come dice mio figlio, io adesso mi sono messa ad andare in giro a spiegare alla gente che l’imparare a guardare i bambini negli occhi, l’imparare ad abbracciarli, l’imparare ad accarezzarli, implica mettere nel circuito delle memorie permanenti che sono di emozioni che costruiscono ben-essere e non mal-essere. È acqua e pane. La scienza è ritornata all’acqua e pane. E in quali memorie vanno le emozioni? Le emozioni, è interessante, perché mentre noi impieghiamo tantissima fatica, per esempio, per studiare, per ricordare, noi lì andiamo in consumo di energia. Le memorie che invece vengono determinate da una traccia immediata sono le memorie che tengono emozioni. Ma se allora noi, ad un certo punto del nostro cortocircuito emozionale, facciamo qualcosa come quello che accade sempre, cioè mentre per esempio io studio, imparo, faccio fatica, sperimento ansia, la mia memoria mette in memoria ciò che studio ma anche l’ansia con cui ce l’ho messo. E quando ritorno a prendere dal cassettino della mia memoria ciò che ho studiato, riprendo non soltanto le informazioni che ci ho messo, ma anche le emozioni con cui l’ho tracciato. E quindi l’ansia entra nel circuito e diventa un’informazione che mi manda in corto. E se io apprendo con paura, io recupererò la paura; e se io apprendo con senso di disistima, io riprenderò la disistima. Ma se io apprendo con sfida a me stesso, io riprenderò la sfida a me stesso. E questo, vi ho detto prima, avviene per millesimi di secondo fino ad anni di tempo in cui il sistema educante può determinare inquinamento nei circuiti mentali o pandemia di guarigione. E io sono per questa pandemia di guarigione, anche perché da persona di scienza quello che devo leggere sono anche le scienze a fianco. E le ricerche sull’epigenetica mi hanno fatto tremare. Perché? Perché studiando cosa accade ai topolini che durante la gravidanza vengono messi nell’acqua ghiacciata, e poi vengono fatti partorire, ci si è accorti, e sono dei dati che ci devono far pensare, che non accade solo ai topi, che i loro cuccioli restano con l’alert della paura per tre generazioni almeno. Cioè è come se le memorie del dolore non fossero soltanto individuali, ma transgenerazionali. Questo significa che noi tramandiamo, per proteggere i nostri figli, ciò da cui si devono proteggere. Quali sono le due emozioni più preoccupanti, e che preoccupano più me? Il senso di colpa e la paura. Di queste non vi posso parlare, ma vi posso dire quali sono le emozioni antagoniste. Al senso di colpa, il grande antagonista è il diritto all’errore. Se noi ci mettiamo in questa consapevolezza che dobbiamo far crescere i nostri figli nel diritto all’errore, nell’errore come un processo di modifica e di miglioramento continuo, cambia il livello di consapevolezza. Abbiamo detto sussurri e voci. Beh, se noi diciamo “bravo”;”Bravo.”; “Bravo!” noi diamo informazioni completamente differenti perché è l’emozione che facciamo transitare attraverso l’indicatore che stiamo utilizzando che va a quel grande decisore e gli dice: “Proteggiti”, o “Non proteggerti”. Adesso vi racconto dell’ultimo bambino perché ho diciotto secondi. Questo ultimo bambino vi dice perché sono venuta qui, facendo una follia, tra un congresso e l’altro, perché sono in partenza per Parigi per un congresso sul cervello che mi mette molta più ansia ancora. Quindi non è una buona giornata. Ma allora, perché sono venuta qui? Ve lo dico con la storia di Anselmo. Anselmo è un bimbo Asperger ad altissimo funzionamento cognitivo. Come “Rain Man”, per darvi un’idea. L’ho incontrato qualche anno fa perché i genitori, due medici, mi hanno detto: “Tu aiuti tanti bimbi nelle loro difficoltà. Aiuta anche lui che parla quattro lingue, risolve problemi di matematica come se fosse al secondo anno di università, disegna il Duomo di Milano in pochi secondi senza errori, ma basta guardarlo e si agita e va in tutti quei comportamenti tipici, prototipici delle sindromi autistiche importanti. E quindi io non avevo mai provato ad aiutare un bimbo in quella che è la zona di sviluppo prossimale delle emozioni. Ma ho pensato che in questo cervello straordinario, se le due strutture sono strutture che sincronicamente collaborano, io potevo aiutare le emozioni con la cognizione. E cosa ho fatto? Gli ho chiesto di segnare in un quaderno tutte le cose che lui riteneva fargli paura, angoscia, metterlo in vulnerabilità. E a ognuna di queste, collegare la strategia con cui vincerla, questa vulnerabilità. Questa strategia non aveva importanza che fosse particolarmente sofisticata. Il più delle volte era una strategia del tutto sua, come battere i piedi a terra, battere e schioccare le dita; ma questo faceva sì che questo flusso di corrente dell’ansia se ne andasse. Quindi lui ha compilato quaderni e quaderni di queste sue soluzioni, ed è venuto a presentarlo a un congresso di 100 insegnanti. Avevamo addestrato, sentite la parola, lui  a non avere momenti di reazione non favorevole a tanta gente e tutte le insegnanti a non comportarsi in maniera di agitarlo. Ma ad un certo punto, mentre lui parlava, una delle insegnanti si emoziona, si mette a piangere, si alza e applaude. Quindi tutte le insegnanti, 100 insegnanti si mettono a piangere, si alzano e applaudono, si commuovono. Quindi lui va in panico e mi scappa dietro una tenda. Lo vado a prendere, battiamo per terra, lo prendo per il mignolo, ci troviamo ad una cioccolata – e devo finire veloce veloce, e alla cioccolata lui mi dice: “Lucangeli, l’hai visto il moltiplicatore?” Io dico: “No, veramente. Cosa vuoi dire?” “C’erano 100 insegnanti, Lucangeli, alcuni giovani, alcuni non tanto. Quindi in media resteranno altri 25 anni a scuola. Ognuno di loro avrà 25 alunni almeno, in classe. Quindi con questa ora di lezione, io ho aiutato, nella mia vita, 62500 bambini.” E io sono qui per questo. (Applausi) Sono qui, e voglio dirlo, perché voi mi aiutiate a fare della scienza servizievole. Sono qui, e voglio dirlo perché voi mi aiutate – e ci aiutiate, perché siamo in tanti, a fare della scienza servizievole, e a fare in modo che si diventi molti, molti, molti di più di 62.500 persone. Grazie, buona vita. (Applausi)

Sul suo sito mind4chidren  potrete trovare le informazioni sul suo lavoro: https://www.mind4children.com/daniela-lucangeli/

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