Fa male, molto male, a noi genitori di figli obesi, anoressici, tossici, tabagisti sentire chiamare, queste sofferenze, devianza. E pensare che l’autocolpevolizzazione è spesso il pane quotidiano di queste ragazzi e ragazze, che quasi sempre hanno un’autostima bassissima e che si attribuiscono spesso mancanza di disciplina.
Anche noi genitori per un po’ pensiamo che occorra rigore, ma alla luce dei fatti dobbiamo ricrederci. Alcuni si accorgono solo tramite lunghe psicoterapie che, quando il disagio colpisce, solo tuo figlio, tua figlia, solo lui, solo lei può fare qualcosa. Tu non sei lui, non sei lei, puoi solo incoraggiare, stare accanto, soffrire e non darlo a vedere, imparare la gioia nel dolore, perché l’ottimismo incoraggia, la disperazione distrugge. Ma non si può fingere, perché questi figli hanno una sensibilità unica, colgono l’ombra nei tuoi occhi, il fremito della titubanza. E ti laceri fra l’accondiscendenza, la protezione, la responsabilizzazione, le richieste che loro non sono in grado di sostenere, cercando di capire il limite fra quello che è accettabile, quello che sconfina e deve essere arginato, fra quali aspettative siano ragionevoli e quali distruttive.
E impari ad azzerarle tutte le aspettative. Per un genitore fortunato nemmeno diventano coscienti, visto che i giovani naturalmente prendono il volo, al di là delle previsioni. Provate voi, che avete i figli che diventano più bravi di voi: studiosi, professionisti, viaggiano all’estero, parlano le lingue straniere si specializzano in campi che nemmeno sapevate esistessero. Provate a immaginare che vostro figlio, un giorno, non si sia più alzato dal letto e abbia rinunciato a tutti gli amici e a uscire dalla sua stanza, che non veda più il sole, la natura. Provate a immaginare che vostra figlia non mangi più nulla e che niente la convinca, nemmeno il rischio di morire. Provate a immaginare che vostro figlio cominci a mangiare quattro o cinque volte quello che è necessario e aumenti di peso a vista d’occhio; immaginate che vostra figlia tenti il suicidio; immaginate che vostra figlia cominci a delirare e perda il contatto con la realtà: veramente credete che non gli abbiamo insegnato i sani principi? che si possa mandarli a scuola con la forza? che si possa mettere il lucchetto nel frigorifero? che si possa convincerle a mangiare? Che si possa farle ragionare ? Credo che tutti i genitori abbiamo provato a convincere, spingere, stimolare, ragionare, all’inizio.
Li vediamo impantanarsi, farsi del male, rinunciare a vivere e impariamo ad amarli di più perché non possiamo fare diversamente. Perché così fareste anche voi, chiunque, di fronte a un figlio che soffre: se fosse un tumore tutti lo capirebbero ma, essendo che l’anima non si vede, evidentemente, è più difficile ricevere empatia.
Una cosa che mi colpisce è come in tanto fervore religioso nessuno metta in pratica gli insegnamenti di Gesù: noi siamo i genitori del figliol prodigo, ma non vediamo di solito, nella società e nelle scuole, la stessa accoglienza nei suoi confronti. Vediamo più spesso la condanna, il giudizio, e ci vediamo stigmatizzati come senza polso e accusati: “dove sono i genitori?” “il servizio militare, ci vuole!” “buttarli fuori di casa” “togliergli il cellulare” “l’avvocato di suo figlio”. Siamo noi che non spingiamo i figli a scuola, non è la scuola che respinge chi non è conforme. Capirete che sarebbe come dire che se un ragazzo ha il diabete, la colpa è dei genitori che non gli hanno dato un’alimentazione sana. È come dire che, se una non è presente a scuola perché ha una malattia, la scuola non ci può fare niente, che i genitori non chiedano una didattica speciale per lei, perché sono pretese.
E invece io sono orgogliosa di quello che mio figlio mi ha insegnato. Mi ha reso una persona infinitamente migliore. Ho imparato un mondo del cuore delle persone al di là delle formalità. E ho visto tanti genitori come me fare la stessa metamorfosi, ma essere respinti, nelle proprie richieste per il benessere dei propri figli, da una scuola che non si è formata e che non è pronta ad accogliere l’umanità con tutte le sue carenze, le sue sofferenze, le sue incapacità ad integrarsi. Noi abbiamo imparato che più li accogliamo così come sono, più diamo valore alla loro l’unicità, più è probabile che si apra una strada di risalita. Ma questa accoglienza, né nell’ambiente sociale né in quello scolastico viene accordata facilmente.
Nel mondo invece li aspetta il conformismo, la competizione, tutto ciò che mette in risalto una supposta inadeguatezza. Persino a scuola: più volte ho sentito da insegnanti la frase “non è adatto a questa scuola”. Sembra un gioco sadico: tanti dicono che lo studio è solo fatica, che non si deve pretendere il divertimento ma che bisogna amare la scuola ed esserne contenti a prescindere. Io sono convinta che sia la scuola che deve adattarsi, rendersi attraente, non superficialmente, ma nella sostanza, perché i ragazzi e le ragazze hanno bisogni profondi, dietro la maschera. La scuola ha il dovere di sollecitare nei ragazzi e nelle ragazze il piacere e il desiderio di andarci.
Penso alle decine di genitori che ho incontrato, con figli con disturbi mentali, hikikomori, obesi, con anoressia: ragazzi e ragazze che hanno fatto sport fino al giorno prima, intelligenti e bravi a scuola che, da quando il disagio li ha catturati, hanno rinunciato a vivere. Questi genitori si devono sentire dire, ci dobbiamo sentire dire, che i figli sono devianti? Definirla crudeltà gratuita è troppo poco. Anche perché è speculazione sulla pelle di chi è sfortunato e avrebbe diritto a stima, premura e sostegno. Sono i genitori invece che danno loro cura: genitori diventati dei veri esperti: esperti di psicologia, esperti di gestione dei conflitti, esperti di dislessia, esperti di normativa scolastica. Eppure vengono definiti incapaci di educare.
È’ vero che abbiamo le nostre responsabilità: chi ha fatto bene, chi ha fatto male, chi ha viziato, chi è stato duro. Abbiamo fatto le stesse cose di tutti gli altri i cui figli hanno successo negli studi e nella vita. Perciò quello che ci sentiamo dire fa male, anche perché alimenta la disperazione di mamme come quelle che in una chat dichiaravano che un tumore è preferibile al disagio mentale. Questo tipo di ingenuità non è accettabile che provenga dalla scuola, dalla società, dalla politica. E’ necessario evolversi, studiare, imparare. A questo serve la scuola.
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