Enrico Galiano nell’articolo “Sui giovani e i social smettiamola di generalizzare”, introduce con comprensibile riluttanza la sua opinione sui fatti di Casal Palocco, che hanno visto l’uccisione di un bambino di 5 anni da parte del ventenne Matteo Di Pietro. Condivido totalmente il suo punto di vista e il suo disagio a giudicare: Galiano invita invece a porsi delle domande.
Galiano è insegnante, scrittore di bestseller e youtuber, con la webserie Cose da prof . Per arrivare ai nodi delle questioni, riflette man mano sui luoghi comuni che ci ripetiamo continuamente e che forse servono per metterci il cuore in pace, ma non sicuramente per stare accanto ai ragazzi e alle ragazze, per comprenderli, per prenderci le nostre responsabilità, per rendere meno probabili queste tragedie.
Apprezzo tantissimo questa sua riflessione: ho sempre pensato che, quando osserviamo dei comportamenti discutibili a scuola, la cosa più importante sia farsi delle domande. Queste di Galiano sono quelle giuste, che mettono in discussione anche il sistema, anche noi stessi, soprattutto ciò che appare scontato.
Non c’è altro modo e, secondo me, ci si dovrebbe analogamente interrogare, ad esempio, sulle recenti questioni che hanno riguardato le aggressioni agli insegnanti. Mi ha colpito, non sorpreso, la monotona ritualità delle scelte, dei commenti e delle polemiche, tutte centrate sulla condanna e sulla levità o pesantezza della punizione. Sono convinta che nessuna sanzione possa avere effetto persuasivo né dissuasivo. Lo scopo da perseguire, per me, deve essere quello di riallacciare la relazione fra le due parti.
Per questo, ritengo, per quanto grave sia stato il gesto, occorre comunque e sempre rivolgere rispetto all’autore, perché non è la durezza della pena che conta, e che ci può anche essere, ma il senso di giustizia sempre unito al sottinteso che essa serva alla riconciliazione, alla riammissione, sempre possibile, nel patto di convivenza civile della comunità. In pratica io la penso così: va bene la punizione, ma non deve essere accompagnata dal rimprovero, dal biasimo o dal giudizio. Solo concedendo la possibilità di riparazione si può stimolare un percorso di correzione, e per fare questo è sempre utile farsi le domande giuste sulle possibili motivazioni, alla ricerca del senso, al di là dell’apparenza e delle nostre convinzioni personali: occorre empatia, che non significa giustificazione, ma solo comprensione.