Ogni nome che salviamo è un pezzo di mondo che salviamo

Nel romanzo L’appello di Alessandro D’Avenia ho trovato rappresentato fedelmente il mondo della scuola come l’ho vissuto io. Un mondo di relazioni intense e gratificanti con i ragazzi e le ragazze, di condivisione e sostegno con tanti colleghi e colleghe, altre volte, però, di frustrazione e  incomunicabiltà. Il protagonista è un insegnante cieco, Omero Romeo, che deve trovare il modo di riconoscere le individualità dei suoi studenti e studentesse senza poterli vedere.

Già dal titolo, L’appello, ho trovato l’affermazione dell’importanza del nome e della definizione dell’identità personale degli studenti e delle studentesse. In un incontro con genitori e insegnanti il sociologo Stefano Laffi, ci ha illustrato come il nome di battesimo sia quello che individua i ragazzi e le ragazze, perché il cognome suona per loro estraneo, appartiene alla famiglia, non a loro. Ho già parlato dell’importanza del nome scelto nel caso dei ragazzi e ragazze lgbtqi+. La psicanalisi considera il nome l’espressione della qualità del desiderio con cui la propria nascita è stata attesa. Mi sono capitati casi in cui il cognome per un ragazzo, una ragazza era un peso insopportabile. È importante che la scuola abbia consapevolezza di questo.  Il protagonista del romanzo è convinto che per salvare il mondo occorra salvare anche ogni singolo nome presente. “L’importante è aver custodito i loro nomi, nient’altro, perché ogni nome che salviamo è un pezzo di mondo che salviamo”. È un rituale di riconoscimento della presenza unica e insostituibile nel mondo, quello che il professore mette in pratica all’inizio di ogni lezione; i ragazzi pronunciano il proprio nome, per poi raccontare che cosa li definisce al meglio, qual è il loro orizzonte, con chi canta all’unisono il loro cuore. Dopo, si lasciano toccare il volto dal professor Romeo, mettendosi quindi realmente nelle mani di un altro. “Il contatto ci fa sapere chi siamo e chi non siamo, dove cominciamo e dove finiamo e la carne che abbiamo in comune. La vita è tutta questione di tatto.”

Il professor Romeo non vive bene la relazione con colleghi e colleghe: “«Perché non ve ne frega niente dei ragazzi?» Il chiacchiericcio su progetti, idee e uscite scolastiche si congela all’istante. «Omero, non fare il sentimentale. Noi non siamo i loro genitori. Noi dobbiamo istruirli e basta» risponde secca Annamaria. «E come possiamo riuscirci senza amarli?» «Amarli?»”
ll primo che ho sentito dirsi innamorato dell’età adolescente è stato Stefano Laffi che ho citato prima. Dopo di lui, Alessandro D’Avenia e Daniela Lucangeli. Mi sono ricordata che quando ho lavorato alle scuole elementari, mi colpiva quanto amore per i bambini e le bambine dimostrassero le insegnanti. Mi è venuto da pensare che le sale docenti delle scuole superiori risuonano di critiche e prese in giro di studenti e studentesse, come fossero esseri rozzi da incivilire.

Essendo insegnante, D’Avenia riesce a rendere perfettamente l’atmosfera che si vive nelle aule scolastiche, nelle sale insegnanti, nei collegi dei docenti. Da un lato corpi che sanguinano e dall’altro una cultura che quei corpi li ignora e si compiace della propria freddezza, anche se la maschera con una calda partecipazione alla vita dell’uomo e al senso della realtà. Non so che farmene di questo umanesimo cerebrale assolutorio e raffinato, gli preferisco un umanesimo carnale sporco e faticoso. Come si può arrivare a sterilizzare la vita al punto di non sentirla, non vederla, non esserne toccati? E quei corpi di giorno in giorno precipitano nell’indifferenza e si convincono che la cultura non serva a essere più umani, ma a prendere le distanze dalla realtà, e che essere adulti significa indossare una corazza e non sentire più nulla. Per cambiare la realtà non basta formulare pensieri raffinati… tanto prima o poi la realtà presenta il conto.”

Ho trovato molto vero questo quadro della realtà scolastica, per questo consiglio la lettura agli e alle insegnanti in quanto emozionante e terapeutica, e ai genitori perché potranno avere uno sguardo in profondità su ciò che si vive nelle scuole da parte dei figli e delle figlie e su quali siano i diversi stili degli e delle insegnanti.

Il messaggio del romanzo, che mi piace citare nel blog, dedicato a chi va male a scuola, è che “Solo quando le loro vite si connettono alla Vita i ragazzi vanno bene a scuola, perché andar bene non è questione di voti ma di vita.”

 

Stefano Laffi è ricercatore sociale presso l’agenzia Codici di Milano. Ha collaborato con la Rai, Radio Popolare, oggi con le riviste “Lo Straniero” e “Gli asini”. Si occupa di mutamento sociale, culture giovanili, processi di emarginazione, consumi e dipendenze.

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