Avrei voluto scrivere di un felice “ritorno a scuola”, come aveva intitolato il suo post una mamma che voleva condividere la sua gioia. Andando poi a cercare maggiori informazioni, purtroppo, mi sono accorta che, dopo tre giorni, la ragazza, che chiamo Margherita, non ce l’ha fatta ad alzarsi dal letto. Tutto normale per una sofferenza come quella: la madre condivide anche questo, consapevole che, come scrivono tante volte i genitori dei ragazzi e ragazze hikikomori, si fa un passo avanti e due indietro, e va accolto anche questo. Allora ripropongo quello che avevo scritto, convinta che valga a maggior ragione, anche se il successo non arriva subito o non arriva per niente. Può anche darsi che la direzione del percorso di ripresa possa uscire dall’ambito scolastico: è importante per questi ragazzi e ragazze essere apprezzati comunque e considerati comunque parte della comunità scolastica. Con accordi specifici e personalizzati, tanti studenti e studentesse sono tornati a studiare dopo anni di lontananza dalla scuola.

Quello che segue è ciò che avevo scritto, iniziando dal post di una madre.

“Due o tre casi come questo danno senso a un’intera carriera”. A parlarmi così è il Preside della scuola di mia figlia Margherita, un istituto professionale della periferia milanese. Me lo ha detto raggiante, quando sono andata a comunicargli che, quest’anno, Margherita aveva intenzione di tornare a scuola e di frequentarla. Dopo tre anni di chiusura. Uno di pseudo-dad ai tempi del Covid (seconda media). Uno rintanata, con compiti a distanza (terza media). Lo scorso (prima superiore) in didattica domiciliare: da gennaio a giugno, con video acceso e lezioni one to one.
I vituperati professionali hanno docenti sensibili al disagio, attenti alle persone e meno attaccati ai risultati performanti. Capaci di costruire un percorso ad hoc e di far sentire lo studente parte del gruppo classe. Anche se fisicamente lontano. L’ho già detto, non ci sono miracoli. La psicoterapia e la cura farmacologica hanno rinfrancato moltissimo Margherita, che da giugno ha praticamente ripreso a vivere: esce, ha ricontattato un’amica e ieri, piena di entusiasmo, è TORNATA A SCUOLA. So che sarà difficile, già il secondo giorno si aggiungono paure e tensioni, ma l’anno scorso non ce l’aveva fatta. Occorreva tempo… occorreva saper aspettare…
In bocca al lupo a tutti!

“Due o tre casi come questo danno senso a un’intera carriera”: mi piacciono le parole del preside! Il problema di Margherita è stato il ritiro sociale. E’ il tema che conosco meglio, ma penso onestamente che non abbia grande importanza quale sia il problema o se non ci siano problemi. Quello che importa è lo sforzo del preside e degli e delle insegnanti che hanno costruito “Un percorso ad hoc” e fatto “sentire lo studente parte del gruppo classe. Anche se fisicamente lontano”. E che abbiano saputo aspettare “Occorreva tempo… occorreva saper aspettare…”, che non abbiano creato preoccupazioni, che abbiano alleggerito, che abbiano rassicurato e che poi abbiano accolto, senza curarsi di quello che mancava, ripartendo da quello che c’era.

A questa rinascita hanno contribuito anche gli specialisti: la psichiatra, per individuare la diagnosi e la cura farmacologica, e lo psicoterapeuta, senza il cui aiuto i farmaci servono a poco. Ha contribuito la famiglia, a sua volta sapendo accettare e capire il dolore, superando la paura, l’angoscia per quello che non funzionava e trasformandola in incoraggiamento per ciò che man mano si trasformava. Alla scuola spetta il compito di rispettare i tempi e la lontananza, di ascoltare i genitori e gli esperti, di sviluppare la competenza didattica per modellare i percorsi, di adattare le richieste, di fare leva su ciò che può essere ottenuto. Effettivamente è richiesto parecchio impegno: non è sempre sufficiente ridurre la quantità dei contenuti, a volte si rende necessario concedere spazi e tempi individuali, diversi da quelli della classe, perché in alcuni casi i ragazzi e le ragazze non riescono proprio ad affrontare proprio la socialità. È un punto che forse destabilizza chi educa, ma che va compreso e gestito.

Anche nei licei ci si può liberare dai risultati performanti, perché chi sta male non è incapace di apprendere e di rendere. Può avere un’ interruzione momentanea, può avere necessità di tempo per imparare come convivere con il disagio. Non credo sia giusto negare le opportunità a chi può dare tanto. Non dobbiamo dimenticarci del geniale matematico premio Nobel, John Forbes Nash Jr., che ha convissuto con la schizofrenia che a lungo dovette curare in ospedali psichiatrici. La sua malattia e il recupero sono raccontati nel film A Beautiful Mind.

Foto di Anastasiya Gepp

Una clip del film 🎬 A Beautiful Mind (film, 2001) “La schizofrenia gli fa impressione? Forse mi farebbe lo stesso effetto, ma ahimè non posso sfuggire a me stesso.”

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2 thoughts on “Ritorno a scuola?

  1. Sono convinta di tutte le cose che dici. Alle volte, non sono gli insegnanti ma i genitori che devono accogliere le fragilitá dei figli e non caricarli delle loro aspettative narcisistiche. Ecco tra un pò vedró un figlio ansioso e una mamma frustrata

    1. Certo, in realtà penso che questo succeda la maggior parte delle volte quando ci sono problemi. Io però mi sono stupita di riscontrare, da parte di genitori di figli con problemi importanti, quanta strada siano capaci di fare, a partire dal quadro che descrivi tu, e quanto esperti ed esperte diventino del disagio e delle necessità dei figli.

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