Vietato rimproverare: ma allora cosa si fa? Seconda parte: educare alla libertà di scelta.
Forse è stato difficile guardando il video dell’articolo precedente identificarsi come utilizzatori dell’Amtsprache, il linguaggio burocratico con cui Eichman si autoesonerava dalla responsabilità dei suoi atti disumani. Propongo allora di pensare a quando i nostri figli ci dicono “ me lo ha detto lui”, “lo fanno tutti”, per comprendere quanto sia importante educare alla responsabilità.
Per educare alla consapevolezza e alla libertà di scelta è necessario utilizzare un linguaggio privo del giudizio giusto-sbagliato e del concetto di dovere. Tali concetti implicano che la correttezza di una scelta valga in astratto per tutti senza differenze e che ci sia dunque qualcuno o qualcosa che la possa stabilire a priori: gli ordini, il capo, il superiore, i genitori, la religione, la rete, l’amico, il gruppo, la società…. Viviamo in un mondo di condizionamenti esterni. Come educatori vorremmo invece che le bimbe e gli adolescenti ne fossero liberi.
“Tutto quello che facciamo per paura di essere puniti, per una ricompensa, per piacere alla gente, per colpa, vergogna, obbligo, dovere” sarà pagato ad un caro prezzo, dice Marshall Rosenberg. Tutto questo, infatti, ci snatura, ci allontana dalla nostra autenticità, ci sottomette ai condizionamenti di cui si parlava.
Un’educazione basata sulla punizione forma persone che non sono in grado di dire no, di difendersi e di scegliere, perché non si sentono legittimate a guardare dentro di sé e a seguire la propria specificità. Per sviluppare lo spirito critico, si può partire dal diritto all’errore, che è importantissimo, perché chi non può sbagliare non potrà seguire la propria inclinazione, il proprio giudizio, la propria personalità, non potrà esplorare, dovrà rimanere nell’ambito di ciò che è noto, atteso e consentito. Questo sviluppa insoddisfazione, frustrazione, rancore e perdita di autostima e di autonomia. Fare di nascosto ciò che è proibito crea il pericoloso senso di colpa, mentre la tendenza a cercare di capire cosa gli altri vogliono, apprezzano e approvano, rende estremamente manipolabili.
Rosenberg dice che nessuno rifiuta di fare ciò che gli viene richiesto quando questo non prevede obbligo, cioè quando la richiesta è onesta, trasparente, senza secondi fini e quando ammette anche di generare un no. Quando non accettiamo una risposta negativa creiamo la schiavitù del senso di colpa, che interrompe la comunicazione; un sì non sentito deriva della paura della punizione e lascia risentimento. Un adulto che sa ricevere il no, dice Rosenberg, stimola un sì libero, non estorto. Nella libertà di scelta il sì sarà un dono disinteressato, proveniente dal cuore, sarà dato con gioia, liberamente, e sarà trasparente perché aderente al volere, alle intenzioni, al sentire di chi lo offre. Anche il no sincero è un’apertura, perché limpido rispetto all’autenticità e responsabilità del soggetto.
Come si riceve un no e cosa comporta?
Vi rimando al principio di validazione (in questo articolo) che significa accogliere l’emozione e il bisogno, cioè il vissuto che produce il no, pur senza condividerlo e mantenendo la propria posizione contraria. Significa ricevere con empatia, mettendosi nei panni dell’altro e dialogare su questo, traducendolo in parole. Il processo comunicativo della validazione, in pratica, consiste in un rispecchiamento, per cui la giovane o il bambino vedono e sentono, rimandato da noi, ciò che stanno vivendo dentro di sé, divengono consapevoli della propria motivazione nel rifiuto che stanno manifestando. Consentendo il rifiuto, e il conseguente eventuale errore, rafforziamo la capacità di scelta, perchè eliminiamo sia il senso di colpa che la paura di sbagliare. Rafforziamo quindi la capacità di vivere la libertà che consente la responsabilità. Inoltre nel nostro riconoscimento essi vedono rispecchiato il valore della loro unicità. Il rimprovero o la proibizione rimandando, al contrario, un’immagine di sfiducia, di incapacità, di conformismo, inibiscono l’acquisizione di autonomia. Chiaramente nel dialogo, si confrontano le posizioni reciproche ed è anche possibile che cambino, che quindi il diniego decada oppure che l’adulto riconosca le buone ragioni espresse, proprio con il suo aiuto, o anche che si cambi posizione entrambi. Inoltre, dal rispecchiamento, il ragazzo riceve anche il modello, l’esempio pratico di come ascoltare e ascoltarsi senza interferenze esterne producendo consapevolezza. È questo che struttura i ragazzi e le bambine a saper dire di no quando serve, a resistere ai condizionamenti e ad acquisire anche l’importante competenza di accettare i no, anche i nostri, liberamente e non per costrizione.
I nostri figli e figlie per ascoltarci hanno bisogno prima di essere ascoltati e, di conseguenza, occorre che gli adulti ascoltino per farsi ascoltare.
Vi sarò grata se vorrete commentare, soprattutto con i vostri dubbi e obiezioni.
Su questo tema segnalo un bel libro per i genitori di bambini anche piccoli perchè prima si inizia meglio è: Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino di Adele Faber, Elaine Mazlish. È un testo molto pratico, con veri propri esercizi per apprender come comunicare efficacemente e ottenere le risposte positive che ci aspettiamo nella libertà di scelta. Qui si trova l’anteprima del libro.
Per i più grandi, Come parlare perché i ragazzi ti ascoltino e come ascoltare perché ti parlino (qui l’anteprima).