Si fa ciò che si può a partire da ciò che si è
Penso che pochi di noi abbiano confidenza con la malattia mentale e facilità a pensarvi. Penso però che questa sia una carenza della scuola che si dovrebbe al più presto pensare a colmare. Uno dei percorsi possibili è quello proposto da “progetto Itaca”, di cui ho parlato nel post precedente Qui vorrei completare il discorso sulla formazione che servirebbe agli e alle inseganti, considerando l’aspetto psicopedagogico, emozionale e relazionale.
Voglio precisare che non penso sia compito dell’insegnante intervenire direttamente, quando si noti un problema, dando consigli e soluzioni. Come dicono tanti insegnanti, non siamo psicologi. Il nostro compito non è di affrontare il problema. Penso però che l’insegnante debba essere sempre consapevole che un atteggiamento di giudizio, di critica, di disapprovazione dei comportamenti, se non sono violenti, fa sentire svalutati gli studenti e provoca chiusura se tali comportamenti sono causati da un malessere interiore. Ad esempio i ragazzi in ritiro sociale che non frequentano la scuola non lo fanno per cattiveria o per pigrizia, ma perché hanno una sofferenza. Comunicare un giudizio negativo sul fatto che non vadano a scuola vuol dire biasimare il fatto che soffrano. Sarebbe come biasimare chi ha la febbre.
Credo che non sia per tutti intuitivo sapere come fare e non penso che sia colpca degli insegnanti non avere una formazione in questo campo: l’istituzione non informa e non indica quanto questo sia importante. Io stessa ho acquisito consapevolezza solo perché mi sono trovata coinvolta personalmente in situazioni difficili. In questo articolo ho esposto brevemente quello che so di una comunicazione che include, che rasserena, che è indispensabile a chi sta male, ma che è necessaria sempre e con tutti. È la migliore forma di educazione al rispetto praticata con l’esempio: contrasta il bullismo, sostiene l’autostima, l’autonomia, e la responsabilità, riconosce ogni differenza e la ammette, nega la sopraffazione e quindi previene la violenza e il malessere. Insegna a percepire le proprie emozioni, tutte, e a gestirle positivamente, a riconoscere ed accettare i propri limiti. È l’unico modo che conosco per educare e, ripeto, non riguarda solo chi ha un problema. L’editore Erickson ha pubblicato vari testi su questo, ma mi sono resa conto che non basta la lettura o la conoscenza teorica. Occorre una concentrazione continua su ciò che si sente e su ciò che si sceglie di fare, un allenamento costante sulla percezione delle proprie emozioni e di quelle degli altri. Su questo ho intenzione di continuare a scrivere nel blog, perché penso che questa consapevolezza e questa ricerca di formazione personale sia ciò che serve per essere insegnanti efficaci.
Nel mio articolo sullo scrittore Daniele Mencarelli riflettevo sul fatto che abbiamo l’impressione che la malattia mentale non ci riguardi, mentre occorre prendere atto che essa invece è con noi sempre. Poiché una persona su quattro ne è affetta, e poiché l’esordio avviene il più delle volte in adolescenza e nella prima giovinezza, dobbiamo convincerci che tanti dei nostri studenti e studentesse vi abbiano a che fare. Non c’è bisogno però di fare niente di diverso dal solito: quello che scrivevo sopra, avere un atteggiamento empatico, è tutto ciò che serve a scuola e nella vita. Un’altra cosa però occorrerebbe: conoscere la malattia mentale ascoltando le persone che sono in grado di dirci come la si vive, in modo da prendere confidenza con la sua umanità e perdere la paura che ce ne fa allontanare. A me è servito molto constatare che la malattia non impedisce di vivere normalmente, oppure che una persona può accettare di avere una vita “diversa” da quella a cui siamo abituati perché è quello che la fa stare bene. Ho trovato illuminanti le testimonianze di Itacablog, dove attiviste e attivisti parlano del loro vissuto di convivenza con un problema di salute mentale e di come ha cambiato o non ha cambiato la loro vita. Lo trovo un atto di preziosa generosità, perché le persone si espongono in tutta la loro fragilità. A me però comunicano una forza eccezionale. Un’altra esperienza illuminante me l’ha data anche il libro Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli. Questi incontri, queste storie, consentono di non vedere più la malattia mentale come devastante, ma la collocano al suo giusto posto: qualcosa che cambia la vita, non necessariamente in peggio.
Le persone con un problema di salute mentale di solito non ricevono la stessa solidarietà e vicinanza che ricevono coloro che soffrono di una malattia fisica. C’è timore ad avvicinarsi, a chiedere, a parlare, a rimanere in contatto. Questo accade anche con i ragazzi e le ragazze, perché i comportamenti “disadattati” fanno percepire agli e alle insegnanti una sorta di provocazione, di negligenza, di menefreghismo che impediscono di cogliere il dolore che li provoca. Questi comportamenti non sono altro che forme di difesa da ciò che è incontrollabile. L’altro problema è che è difficile sopportare il dolore, la reazione immediata è di allontanarsi. Non lo si fa con la malattia del corpo perché ci è possibile ricorrere al pensiero razionale che ci fa percepire il senso di quel dolore. Non riusciamo a farlo quando la sofferenza è (solo?) mentale: tutto sommato non ci sembra vera, non la pensiamo come sofferenza.
Infine una riflessione di cui ho già parlato precedentemente: l’uso dei termini “matto” “folle” “pazzo”, (“non sono mica matto”, “quello è pazzo”), derivano da un’idea di mancanza di ragione in quello che si fa. Una persona con un disturbo della salute mentale può fare cose che viste dall’esterno sembrano senza senso. In realtà sono reazioni che proteggono dalla sofferenza o da un pericolo che viene percepito anche se non è reale. Non c’è niente di irragionevole in questo. Penso sia sbagliato vedere la malattia mentale come sinonimo di pazzia. La mente può avere un disturbo, ma quello che si fa ha sempre una ragione. È quindi sbagliato pensare che certe azioni siano una scelta, che siano dovute alla volontà. Sono invece sintomi, che si trasformano o scompaiono quando ciò che li produce trova una cura efficace. Citando la mia psicoterapeuta penso sia importante tenere presente che “Si fa ciò che si può a partire da ciò che si è”, e considerare che questo vale per tutti e tutte, sani e non.
Itaca Blog – Progetto Itaca è la pagina del sito che contiene le illuminanti e commoventi storie personali e riflessioni di attivisti e attiviste dell’associazione, che convivono con un problema di salute mentale . Da loro impariamo che questo non toglie la ragione, i sentimenti, la profondità del pensiero, la capacità di comunicare. Anzi, si crea una sensibilità più acuta, dolorosa, certo, ma maestra di vita per noi, direi, perché, noi che diamo tutto per scontato, da loro, cogliamo la capacità, che non abbiamo, di convivere con la fragilità, che invece appartiene a tutti.
Conoscere il benessere mentale: interventi nelle scuole per studenti, insegnanti e genitori, mio articolo sui progetti nelle scuole di informazione e sensibilizzazione di “Progetto Itaca”
Daniele Mencarelli porta all’attenzione la salute mentale dei bambini mio articolo sull’attività di sensibilizzazione dell’autore di “Tutto chiede salvezza”
Il problema dello stigma é purtroppo una questione sociale-culturale ancora molto radicata. La salute mentale é sottovalutata in alcuni suoi aspetti, alle volte fa paura per alcune sue manifestazioni ( la ” pazzia” non sempre si cura solo con le parole), persino chi ha un disagio può non riconoscerlo. Ci sono tante forme e tanti livelli dei disturbi psichici, diverse le cause che dipendono anche dalla nostra societá e I suoi disvalori. Ma insieme a te Daniela, siamo in tanti a continuare a sfondare le porte che rinchiudono le persone nella loro sofferenza, anche quelle invisibili che nascondono il pregiudizio e l’ignoranza. Grazie del tuo prezioso impegno di “svelamento”
Grazie Giovanna, per il tuo prezioso, competente, supporto.